venerdì, gennaio 11, 2008

LUCIANO STYLE

Petrus', Moggi e i sepolcri imbiancati

di Gianluca Barile

CITTA’ DEL VATICANO - Luciano Moggi. Basta il nome. Lo conoscono tutti. C’è chi lo adora e chi lo detesta. Chi lo ha osannato e chi lo ha abbandonato nel momento del bisogno. Ha vinto tutto. Ha dato fastidio a molti. La sua Juventus è entrata nella storia. E nella storia è entrato pure lui. Da eterno vincente. Il calcio è così: ti glorifica e ti mortifica in un batter d’occhio. Ma non ti cancella. Chi lo ammira, lo descrive come un grande manager; chi lo odia, lo paragona ai peggiori boss della mafia. Ma, fino a prova contraria, non ha ammazzatonessuno. ‘Petrus’. Basta il nome. Significa Pietro. Lo conoscono tutti. Si occupa del Pontificato di Benedetto XVI. E non solo. Nelle ultime settimane, infatti, si sta interessando anche del rapporto tra Sport e Fede. In particolare, si è concentrato sul problematico mondo del calcio. Per dare voce ai protagonisti di questo ambiente che non è fatto solo di denaro e potere, ma anche di sentimenti, di belle storie umane, di emozioni da raccontare. Il cammino è stato lento. E tortuoso. Ma alla fine abbiamo deciso di insistere. E i risultati ci hanno premiato: i nostri lettori amano particolarmente le interviste ai personaggi del calcio. Perché si raccontano come uomini e non come divi. Perché parlano della religione, di Dio, della Speranza, della lotta tra Bene e Male, pur appartenendo ad un mondo che si vuole far passare a tutti i costi per corrotto e irrimediabilmente dannato. Come è noto, da lunedì Luciano Moggi inizierà la sua collaborazione (gratuita) con ‘Petrus’, curando una rubrica settimanale sull’ultima giornata di campionato e mescolando temi calcistici e religiosi. I moralisti di turno si sono già scandalizzati; i colpevolisti di sempre hanno immediatamente emesso sentenze di condanna; i ‘falchi’ del ‘noi siamo cattolici e non possiamo perdonare uno come lui sospettato di fatti gravi’ hanno dimenticato di doversi comportare come ‘colombe’ perché nessun uomo, agli occhi di Dio e della società, può considerarsi migliore di un altro uomo. ‘Siate invece gli uni verso gli altri benigni, misericordiosi, perdonandovi a vicenda, come anche Dio vi ha perdonati in Cristo" (Efesini 4:32). Noi siamo per l'accoglienza. Le chiacchiere, le intercettazioni, le accuse, le vendette le lasciamo ad altri, non ci interessano; il nostro obiettivo, in questo caso, è quello di fornire un contributo chiaro all’informazione religiosa per fare in modo che essa funga da faro per illuminare l’oscuro mondo del calcio. Ma tant’è: i nemici di Moggi, e nostri, sono andati all’attacco, ci hanno scritto e-mail degne delle peggiori discariche, ci hanno messi all’indice dal pulpito della loro ipocrisia. A questo punto, la domanda sorge spontanea: siamo ancora cristiani? Siamo ancora in grado di amare? ‘Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano... Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete?... Voi dunque siate perfetti, com'è perfetto il Padre vostro celeste’ (Matteo 5:44-48). Dunque, cosa significa essere cattolici? Parlare della fede in Cristo? Dire pubblicamente che si crede nella Signoria di Gesù? Santificare la Domenica e tutte le altre feste partecipando alla Messa? Tutto questo sicuramente deve far parte della vita di un cristiano, eppure Gesù ci chiede altro: ‘Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi’. E se amare significa rispettare, perché non dovremmo rispettare anche Luciano Moggi? Che qualcuno si possa sostituire in terra al Tribunale di Dio? Forse che chi giudica negativamente la persona dell’ex Direttore Generale della Juventus si senta più giusto dell’Altissimo? Qualcuno potrebbe obiettare che chi valuta negativamente questa collaborazione è laico o ateo, per cui è libero di sputare sentenze e veleno. Allora noi rispondiamo da laici, facendo riferimento alle Leggi del nostro Ordinamento: non si è colpevoli di nulla fino a che una sentenza passata in giudicato non dichiari diversamente. Di sepolcri imbiancati è pieno il mondo. ‘Chi non ha peccato, scagli per primo la pietra’, disse il Signore a coloro che volevano lapidare l’adultera. Noi di ‘Petrus’ ci professiamo cattolici e vogliamo dimostrarlo; non giudichiamo Moggi perché il giudizio spetta a Dio; non lo giudichiamo da un punto di vista penale perché ciò tocca solo alla Magistratura; non lo giudichiamo perché non siamo nessuno per farlo. Qualche ‘puritano’ benpensante (?) si è scandalizzato perché abbiamo definito ‘Big Luciano’ un galantuomo: con noi lo è stato, e forse anche con chi nei momenti di sventura gli ha voltato le spalle. Nessuno, però, ha avuto il coraggio di ammettere che ‘Petrus’ ha messo a segno un bel colpo con l’ingresso di Moggi nella scuderia dei collaboratori (che sia stato proprio questo il problema per chi avrebbe voluto tarparci le ali?). Certo, ci occupiamo di Chiesa, e principalmente del Magistero dell’amato Santo Padre Benedetto XVI, ma perché dovremmo dimenticare quei settori della società, compreso il calcio, che coinvolgono e interessano milioni di persone? Che essere cattolici sia diventata una discriminante, per cui se il prossimo è anche solo sospettato di un torto, debba essere lapidato? No, questa logica non appartiene ai seguaci di Gesù ma a quelle credenze che si basano sull’odio e la violenza. Noi cristiani siamo diversi, siamo per l’accoglienza. Perché, come ci ha ricordato proprio Benedetto XVI, ‘Dio è Amore’.


San Luciano


Ricordate le parole di Henry sul fatto che lasciò la Juve per colpa di Moggi? Fresca fresca è arrivata la risposta di Luciano, manco a dirlo dalle colonne dell'unico giornale che gli da voce: Libero.

Tra modalità di fair play e altre cosucce di questo genere c'è chi, come Maldini, ha riproposto un tema sempre cruciale per il calcio, che è quello della cura dei vivai, suscitando un mezzo putiferio. Comprendo il Milan, che non poteva gradire il rimbrotto del vecchio capitano. Ma anche qui basta intendersi: se invece di reprimenda la prendiamo come uno stimolo a non trascurare certi principi basilari, cambia tutto. Il problema esiste, è stato il cardine sul quale da sempre si sono poggiati i piccoli club (preparare, sfornare e poi cedere i giovani talenti facendo cassa). Sicuramente, tra le grandi squadre, ne ha fatto un punto fondamentale la Juventus (soprattutto durante la mia gestione), e i risultati si vedono e si sono visti: tanto per dirne una, nel 2006, oltre al titolo conquistato dalla squadra di Capello, la Juve ha vinto anche quattro campionati a livello giovanile.

Giovani e vivai dei club: alla Juve ho fatto scuola

Paolo Maldini ha avuto sicuramente davanti a sé il quadro bianconero di oggi rispetto a quello rossonero. Semmai è sembrato un po' ardito e anche generoso accomunare la Juve all'Inter. Se c'è oggi una squadra dove un giovane incontra più difficoltà a trovar spazio è proprio l'Inter. Il che non significa che il club di Moratti non curi i vivai, ma i tempi sono più lunghi e l'arrivo in prima squadra più complicato. Se nell'Inter multinazionale di oggi c'è un solo italiano, Materazzi, figuriamoci come un giovane può pensare di accedervi.
La Juve ha fatto e sicuramente continuerà a fare un discorso diverso. L'obiettivo è proprio quello di preparare i campioncini di domani da utilizzare in proprio, dopo che si siano fatti le ossa altrove. E' vero come dice Ancelotti (ma è sembrata una scusante per se stesso e per il club rossonero) che l'anno malaugurato della B ha aperto maggiori possibilità ai giovani bianconeri, ma più di qualcuno in prima squadra vi era già arrivato o stava per arrivarci. Maldini avrà pensato a se stesso, come esempio di chi è stato lanciato e ce l'ha fatta, rispetto a quello che non vede adesso. Chiaro che gli inserimenti debbono essere graduali e non solo - come dice Ancelotti - perché lo standard di rendimento deve essere mantenuto ad alto livello, ma anche perché le giovani promesse non vanno bruciate.
Provo adesso a spiegare perché nell'organizzazione dei grandi club la cura dei giovani avvenga con una certa parsimonia. Il ragionamento che viene fatto, di fronte ai costi che comporta il settore giovanile e ai rischi di fuga all'estero del giovane promettente che ti allevi in casa, è che forse conviene andare a mettere l'occhio direttamente in campo estero e trovare lì chi ti abbisogna.
Sembra facile, ma non lo è, perché se i giovanotti sono talenti ti costano un occhio anche a 18 anni o giù di lì (caso Pato); se poi invece pensi a frontiere meno conosciute - come quando si è scoperto il mercato africano - allora è tutto un altro discorso.
Ci sono club che operano in città non grandi, prive della pressione assillante di media e pubblico, che su taluni mercati hanno operato quasi a pacchetti, e non lo dico in termini critici. Ne provano venti, ne riuscirà uno solo, a loro sta bene così e nessuno li crocifigge. Taluni club possono perseguire queste strategie, altri no. Il meglio possibile è una via di mezzo tra la cura dei vivai all'interno del settore giovanile (da non trascurare mai) e una giusta visione dell'"esterno", intendendo per "esterno" i campi minori della penisola e anche al di fuori dei confini nazionali. Chiaro che a questo punto occorre una rete capillare e particolarmente efficiente di osservatori, operazione nella quale la Juve dei miei tempi eccelleva: i risultati sono documentati dai giovani ormai stanziali nella rosa di prima squadra (Palladino, Nocerino, Molinaro, Criscito ora ritrasferito al Genoa) e dai molti altri "baby" bianconeri in giro per l'Italia dei quali mi limito a ricordare (la lista sarebbe lunga) Giovinco e Marchisio all'Empoli, De Ceglie al Siena, Mirante alla Sampdoria, Paolucci all'Udinese, Lanzafame al Bari, Paro al Genoa ecc. Che poi la strada per imporsi in prima squadra, anche per un talento emergente, non sia facile, questo è un altro discorso. Bisogna avere pazienza, tenacia e carattere, ricordando che anche celebrati campioni stranieri finiscono a volte per fare panchina.

Le inutili chiacchiere dell'attaccante francese

A tal proposito merita un approfondimento l'uscita dell'attaccante Thierry Henry: «Con Moggi accadde qualcosa che non mi piaceva: non voglio entrare nei dettagli». Bene, allora nei dettagli entro io. C'è innanzitutto da dire che Henry ha avuto la sfortuna di arrivare alla Juventus in una delle sue rarissime stagioni negative. In 13 anni si è vinto praticamente sempre, raccogliendo soddisfazioni ovunque, ma non in quella stagione. E' stata un'annata particolarmente tormentata, culminata con l'avvicendamento in corsa tra Lippi e Ancelotti. Ebbi il fiuto di investire sul giovane attaccante del Monaco e devo dire che neppure lo pagai poco: 18 miliardi delle vecchie lire.
Ricordo che Henry faticava ad inserirsi per problemi legati alla giovane età, alla durezza del campionato italiano, alle difficoltà di mettersi in mostra in una grande squadra (peraltro in crisi): forse era troppo per lui in quel momento.
Le qualità tecniche non si potevano discutere, ma il giocatore aveva bisogno di spazio palla al piede e il suo gioco non si adattava a quello della squadra che giocava sempre in pressing sull'avversario. Faticava a rendersi utile alla squadra e si esponeva a critiche che neppure meritava: quell'anno disputò 16 partite delle quali 9 non portate a termine (ed io non ero certo l'allenatore).
Visto e considerato che un po' di esperienza l'avevo già maturata, pensai di darlo in prestito un anno in una squadra meno esigente nei suoi confronti, che potesse dargli l'opportunità di crescere e adattarsi al nostro campionato con più tranquillità. Individuai l'Udinese come soluzione opportuna, raccogliendo la disponibilità entusiasta dei Pozzo.
Henry se la prese a male e ancora oggi non riesco a capire il perché. Se dovessi fare un elenco di giocatori che attraverso questo percorso sono poi diventati dei campioni affermati mi servirebbero almeno un paio di pagine di questo giornale. Ma comunque non fa nulla.
Questa storia si concluse con la partenza di Henry: fui costretto a cederlo e, nonostante la stagione non certo esaltante, riuscii a ottenere dall'Arsenal 32 miliardi. Comprato per 18 e rivenduto poco dopo a 32. Una plusvalenza non da poco che non ha nemmeno sminuito il valore della squadra: infatti nelle stagioni successive (quelle in cui Henry ha dato il meglio) la Juventus ha ripreso a vincere con regolarità. Più dell'Arsenal. E alla Juve arrivò un certo Trezeguet...

La classifica dell'Iffhs e quelle strane polemiche...


Ha fatto scalpore la classifica delle squadre migliori di sempre fatte dall'Istituto mondiale di storia e statistica del calcio di Bonn che ha indicato il Barcellona e la Juve ai primi due posti, con il Milan al quinto e l'Inter al settimo. Andate a vedere con quanta pignoleria e partigianeria sono state fatte le pulci all'Istituto tedesco, in sostanza per deriderne criteri e risultati. Immagino che se fosse uscito il solito peana all'Inter la questione si sarebbe risolta con i soliti titoli ad effetto, un altro riconoscimento all'Inter di Moratti e di Mancini. Così non è stato e semmai ha da lamentarsi il Milan (ma il dato partiva dal '91 e si fermava al 2006).
Con una differenza di un anno (in partenza) è in sostanza tutto il periodo della triade, e fa piacere che qualcuno, al di sopra delle parti (!), ripaghi i tanti sforzi di quel management riconoscendo a quella Juve una posizione inferiore solo al Barcellona.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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juve

juve/


NON UN EURO ALLA GAZZETTA!!!

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