lunedì, febbraio 05, 2007

COSI' SPIAVO PER CONTO DELLA PIRELLI

MARCO Bernardini è il testimone chiave dell'inchiesta sui dossier illegali raccolti dalla Security Pirelli/Telecom. Dal 5 agosto dello scorso anno a oggi, è stato interrogato quattordici volte dai pubblici ministeri di Milano. Quarantanove anni, romano, per dodici anni - racconta - ha lavorato nel Sisde come collaboratore "a contratto" prima di esserne espulso e di avviare un'agenzia privata di investigazioni, filiale italiana della Global security dell'ex agente Cia Spinelli. Per i giudici milanesi le sue dichiarazioni "sono risultate puntualmente riscontrate da dati oggettivi e documentali".

Signor Bernardini, quando ha conosciuto Giuliano Tavaroli, l'ex capo della security Telecom?
"A Barcellona, nell'autunno del 2000, durante una convention della Pirelli al Hotel rey Juan Carlos. Ero incaricato della sicurezza "esterna" di Marco Tronchetti Provera. In quell'occasione, il capo della sicurezza personale del dottore, Tiziano Casali, mi presentò Giuliano. A gennaio del 2001, il legame professionale si fece più stretto e l'attività più intensa. Giuliano organizza una propria squadra antiterrorismo, dopo che allo stabilimento della Bicocca erano stati fatti trovare dei volantini di minaccia delle Brigate rosse a dirigenti della Pirelli. Io entro a far parte di quel gruppo, e da allora comincio a ricevere altri incarichi con un'attività a 360 gradi delle problematiche Telecom".

Ci può fare qualche esempio delle sue attività e delle "problematiche"?
"A quel tempo, lavoravo soprattutto all'estero. Balcani, Est Europa e Nord Africa. Dovevo valutare, per Pirelli, i rischi delle turbolenze politiche, o di possibili aggressioni criminali. All'epoca, rendevo conto a Gianpaolo Spinelli che da Washington fatturava il lavoro o alla Polis d'Istinto di Emanuele Cipriani o direttamente a Pirelli . E' in questo primo arco di tempo, primi mesi del 2001, che mi occupai di Telekom Serbjia".

Ma Pirelli non aveva ancora conquistato Telecom Italia, che interessa aveva a sapere di Telekom Serbija?
"Non lo so. Evidentemente avevano già deciso l'acquisizione perché mi chiesero di capire come erano girati i soldi nell'acquisto dell'azienda di Belgrado".

Lei, a Matrix, ha detto che sarebbe stato Marco De Benedetti a soffiare le informazioni a Repubblica per l'inchiesta Telekom Serbija...
"In realtà quella era una voce, un gossip che girava in azienda. Mi chiesero di controllarla e conclusi che si trattava, appunto, soltanto di una voce".

Quali furono gli ulteriori incarichi ricevuti in quel periodo?
"Mi chiesero di monitorare i dirigenti che la Pirelli intendeva allontanare da Telecom".

Può farci dei nomi?
"Vittorio Nola (segretario generale) e Piero Gallina (capo della Security) e persone a loro collegate. Un altro incarico, invece, mi fu affidato da Adamo Bove. Mi chiese di indagare sui dipendenti che vendevano i tabulati della società e sul traffico di e-mail strategiche che venivano trasmesse da funzionari infedeli ai concorrenti. Dopo la sua morte alcuni testimoni hanno raccontato che Bove, nel suo ufficio, a tarda ora, incontrava un uomo. Lo hanno ribattezzato "l'uomo dei misteri". Quel signore ero io. Era l'unico modo per riferirgli, senza essere visto, gli esiti delle mie indagini.
Per il resto si trattava di routine".

Per esempio?
"Una volta, in Turchia, abbiamo scoperto una fabbrica di testine contraffate per Olivetti. Allora ci siamo finti clienti e, una volta riscontrato che la truffa era vera, li abbiamo fregati noi e abbiamo fatto intervenire la finanza. Si chiamano operazioni "Sting", pungiglione. Ma altre volte dovevo valutare gli effetti in Venezuela della presa del potere di Chavez, oppure di dare conto delle manifestazioni in Egitto che si svolgevano davanti alla Pirelli. A volte, i controlli potevano riguardare più semplicemente operatori infedeli che, manipolando le tariffe sui telefoni, baravano per far ottenere bollette più leggere agli amici che, poi, li ricompensavano".

Queste erano operazioni di difesa degli interessi della società, ma ci sono state anche operazioni di "attacco" agli interessi di concorrenti o contro gli avversari economici, finanziari, politici?
"Certo, le sting operation di cui parlavo prima".

Lei vi ha partecipato?
"A qualcuna, sì".

Contro chi, per esempio?
"Io ho indagato Emilio Gnutti e Carlo De Benedetti".

Dove ha raccolto il materiale?
"Sostanzialmente mi sono affidato a miei contatti nel Sisde che mi hanno permesso di entrare in possesso di fascicoli raccolti dal Servizio sui miei obiettivi".

Come erano formati questi fascicoli, e soprattutto perché venivano raccolti?
"Preferisco non dare dettagli. Quel che posso dire è che i miei contatti al Sisde mi consegnavano informazioni e notizie non protocollate che io penso fossero a disposizione o dell'archivio centrale del Servizio o degli archivi periferici.

Chi le ordinava questo lavoro di dossieraggio?
"Giuliano Tavaroli per conto della Pirelli".

Lei ha mai chiesto a Tavaroli perché Pirelli aveva bisogno di queste informazioni e quale fosse poi il loro utilizzo?
"Sentite, non usa tra di noi fare queste domande. La sola domanda legittima è sapere quanto costa. Non si discute nemmeno di come verrà fatto il lavoro. Nessuno vuole saperlo. Conta l'esito. All'inizio della mia collaborazione, il lavoro veniva distribuito da Pirelli e Telecom alla Polis d'Istinto di Cipriani. Quando la Polis finisce sotto inchiesta e non offre più le necessarie garanzie, l'attività è stata diciamo "compartimentata" per settori. Non c'era soltanto la mia Global al lavoro, ma altre agenzie di Roma, e del Nord Italia..... La Wolf 121 di Santarelli, l'agenzia di Nicolò Rizzo la Althon di Novara, l'agenzia di Londra. Ognuno aveva un campo. Io penso che c'era chi si occupava di politici, chi della gente di spettacolo, chi delle banche, chi dei fornitori e dei dipendenti".

Altre "operations"?
"Ci sono state su Brancher (Forza Italia) e Cesa (Udc), io mi sono occupato dei fratelli Bisignani, dell'ex marito di Afef, Marco Squatriti. E di Tremonti e Bossi. Su questi ultimi, avevo il compito di trovare un contratto dal notaio, ma non venni a capo della questione. E ancora. Nel corso dell'inchiesta che mi fu commissionata su Calisto Tanzi e il crac della Parmalat, mi chiesero di indagare su Diego Della Valle. Mi rivolsi a un ufficiale dell'ufficio informazioni della Guardia di Finanza di Firenze al quale girai alcune informazioni bancarie che lui verificò. Il dossier su Della Valle mi venne pagato 10 mila euro".

Lei c'entra con le indagini illegali ai danni del vicedirettore della Corriere della Sera, Massimo Mucchetti?
"Si".

Com'è andata?
"Le cose andarono così: Fabio Ghioni (il responsabile della Information security, la sicurezza elettronica di Telecom, ndr) mi portò fuori dall'ufficio di via Victor Hugo, in un baretto. Sospettavamo che le nostre stanze potessero essere "microfonate" e mi chiese di muovermi su Massimo Mucchetti e Rosalba Casiraghi, del collegio sindacale. Il giornalista scriveva degli articoli dove si anticipavano le strategie del gruppo e non si riusciva a capire da chi ricevesse informazioni così sensibili. Ghioni mi chiese di individuare le fonti e l'indirizzo e-mail, mi assicurò che non c'erano problemi per il compenso. Credo di aver utilizzato per lo meno 20 uomini. Seguivano Mucchetti dalla mattina alla sera. Dovevo controllare le due entrate del Corsera di via Solferino e via San Marco, la sua casa di Brescia, i suoi viaggi in treno. Ricordo che affollai il suo vagone con extracomunitari che dovevano osservare se magari sul treno Mucchetti scambiasse documenti con qualcuno. Poi ingaggiai una ragazza che magari lo poteva incuriosire fino al punto da cominciare una corrispondenza via e-mail. A quel punto ci avrebbe pensato Ghioni all'intercettazione telematica. Ci siamo informati anche degli spostamenti aerei. Quando Mucchetti doveva volare, andavamo al check in e facevamo sedere Mucchetti a fianco della ragazza in modo che lei gli rubasse qualche informazione. Alla fine, credo di aver mosso intorno a Mucchetti una cinquantina di persone. Ma, lo ripeto, non avevo problemi di budget, come avvenne anche in un'altra occasione, quando attraverso le telecamere interne scoprimmo che una donna delle pulizie, di origini cubane, fotocopiava i documenti nell'ufficio di Giuliano. La seguimmo a lungo scoprendo che era pedinata anche da altre persone, probabilmente uomini delle forze dell'ordine in borghese. Utilizzavano auto italiane con targhe che risultarono sconosciute. La donna portava i documenti nella sede milanese del Coni a un uomo. Ma non abbiamo mai scoperto la sua identità. Era un vero professionista. Riusciva a depistarci. Mai in auto o in moto, usava soltanto trasporto pubblico e, in metropolitana, cambiava ripetutamente vettura, linea e direzione".

Ha spiato altri giornalisti?
"Una collaboratrice di Panorama".

Che cosa era accaduto?
"La ragazza si era presentata da Gad Lerner con il cd che, in codice, chiamavamo "Tokio". Era l'operazione che avevano fatto in Brasile su Dantas e la Chico. Di quel cd c'era una sola copia nella cassaforte di Tavaroli. Come diavolo aveva fatto la collaboratrice di Panorama ad averne un'altra? Questo era il nostro problema. Dunque, la ragazza va da Lerner e le propone il cd. Lerner va da Marco Tronchetti Provera a dire che in giro c'è quel cd e a quel punto Giuliano Tavaroli volle conoscere i movimenti e i contatti della ragazza".

Ha spiato anche i magistrati Gerardo D'Ambrosio e Gherardo Colombo?
"Mi arrivò la richiesta per fax da Pirelli di interessarmi a un Colombo e a un D'Ambrosio. Francamente non penso che si trattasse dei due magistrati. Perché una richiesta così delicata non mi sarebbe arrivata per fax. Ma comunque, della cosa non mi occupai io, ma Tega, uno dei miei, e non so dire l'esito di quel lavoro. E quanto dico a voi l'ho detto in questi giorni ai magistrati".

Che tipo di rapporto aveva la sua agenzia investigativa fondata con l'ex agente Cia, Gianpaolo Spinelli, con organi istituzionali, intelligence, forze di polizia?
"Vi posso raccontare solo un episodio. Un giorno di gennaio del 2005 Spinelli ritorna in ufficio furibondo. Mi spiega che una sua fonte istituzionale gli ha svelato che l'ufficio e tutte le auto usate in servizio erano piene di roba. Avevano messo cimici e telecamere dappertutto. Siamo andati a verificare sul computer dell'entrata degli uffici, dove risultava che effettivamente alcuni giorni prima, alle 3 di notte, c'era stato un ingresso anomalo".

Che rapporti la "struttura Telecom", e le agenzie investigative legate a quella struttura, avevano con il Sismi?
"Prima che me lo chiediate, vi dico che io Marco Mancini (ex-capo del controspionaggio) l'ho visto una sola volta e non mi è stato nemmeno presentato. Per quello che ho capito io, non c'era un rapporto diretto tra Giuliano Tavaroli e il Sismi, ma credo che questo rapporto passasse attraverso i contatti del dottor Marco Tronchetti Provera con Palazzo Chigi, dove io spesso l'ho accompagnato in qualità di responsabile della sua scorta. Guardate per esempio, il caso Pironi. Luciano Pironi è quel carabiniere dei Ros che partecipa al sequestro di Abu Omar. E' una collaborazione con la Cia che dovrebbe permettergli di entrare nel Sismi. Ma, per entrare nel Sismi, Pironi non si rivolge al suo amico di lunga data Marco Mancini, ma a Tavaroli".

E per i rapporti con il Sisde?
"Anche in questo caso, le cose sono chiare con un episodio. So per certo che Giuliano venne contattato dal Servizio che gli offrì del denaro in cambio di intercettazioni telefoniche. Giuliano rifiutò. A differenza di un altro responsabile di una società concorrente al quale, secondo quanto ci risultava, venivano passati 10 mila euro al mese per la sua collaborazione".

Un agente vicino al direttore del Sismi dice che anche Tavaroli fosse pagato dalla Cia...
"Era una voce che girava nel Sismi, ma non so se fosse vera".

Che rapporto ha avuto con Adamo Bove?
"Io penso che Bove sia diventato, in questa storia, una sorta di capro espiatorio che non si può difendere. Ora, sia Ghioni sia Caterina Plateo dicono che fosse Bove a commissionare le intercettazioni abusive. Però, vedete, io so soltanto che Bove non sopportava la Plateo e anche la Plateo non amava Bove. Non riesco a immaginarlo chiedere un'attività non del tutto lecita a una persona che gli era ostile. Anzi, sono portato ad escluderlo".

Che cosa pensa del suicidio di Bove?
"La mia opinione è che sia stato ammazzato, o indotto al suicidio. I testimoni della sua morte hanno riferito della presenza di un furgone bianco in zona. Se così fosse, la tecnica è tipica dei professionisti. Di un'auto che insegue la sua "preda". L'affianca. La costringe a fermarsi. Poi si apre il portellone del furgone. Non ci vuole molto tempo. Pochi secondi... So, comunque, che un uomo, come Bove, che soffre di vertigini non si getta da un ponte quando, armato com'è, può spararsi in testa. Era stato indicato da Giuliano come il suo successore, ma c'erano anche altri pretendenti. Lui, nella Security di Telecom, certi strumenti non li avrebbe utilizzati".

Quale è oggi la sua opinione su Giuliano Tavaroli?
"Quando sono stato in difficoltà, Giuliano mi ha dato del lavoro. Mi ha permesso di sostenermi. Anche quando è caduto in disgrazia ed è stato trasferito in Romania, mi ha portato con sé. In quel periodo, Giuliano era molto amareggiato. Mi diceva "dopo tutto quello che ho fatto, l'azienda mi ha lasciato solo... E fanno finta di non conoscermi"".

http://www.repubblica.it/2007/01/sezioni/c...bernardini.html

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