giovedì, gennaio 18, 2007

IL DOSSIER DEL DR. ZOIDBERG SULLE PLUSVALENZE

Sulla scorta delle ultime notizie che danno il Morattone impelagato nel fosco mare del falso in bilancio, al vostro dossierista Zoidberg è venuta d'improvviso l'urgenza di chiarire alcuni concetti chiave della questione, troppo spesso trascurati.
Negli articoli di giornale si parla spesso di bilancio e di plusvalenze ma non tutti sanno con precisione cosa quei due termini significhino. Con il dossier che leggerete mi sono proposto di spiegare, in un linguaggio il più possibile chiaro, cosa siano queste benedette plusvalenze. Nel caso del calcio, in realtà, è più opportuno parlare di "plusvalenze fittizie incrociate" e il documento che segue va a spiegare proprio il perché di questa curiosa terminologia.
Alla trattazione vera e propria ho fatto precedere una breve introduzione volta ad illustrare (seppur in modo semplicistico) cosa sia un bilancio e quali siano le sue principali voci di lettura. Chi fosse già avvezzo a trattare tali materie salti subito al secondo paragrafo.
Il dossier riporta anche casi di "vita vissuta", ovvero molti dei maneggi contabili messi in atto dalle squadre italiane (in particolare Roma, Inter, Milan e Lazio, in ordine volutamente sparso) per ovviare ai loro problemi di bilancio. Per completezza si dovrebbe parlare anche della famigerata Legge Salvacalcio (diretta conseguenza del fallimento del sistema delle plusvalenze) ma, per ragioni di spazio, rimandiamo la trattazione in una futura occasione.
Mi rendo conto della difficoltà di tali argomenti, mi rendo conto anche della lunghezza del documento, ma credo che una lettura calma e approfondita possa risultare utile per comprendere la profondità del baratro in cui il nostro calcio è caduto negli ultimi anni. Spero di avervi fatto cosa gradita


BILANCI E PLUSVALENZE NEL CALCIO

di Emilio Cambiaghi

INTRODUZIONE: CHE COS’E’ UN BILANCIO? CHE COS’E’ UNA PLUSVALENZA?

Il bilancio è un documento che sintetizza l’attività di un’impresa e che viene presentato periodicamente alla fine di ogni anno (esercizio). Nel caso delle società di calcio, il bilancio si chiude al 30 giugno, al termine della stagione sportiva
Il bilancio è composto di tre parti distinte: Stato Patrimoniale, Conto Economico e Nota Integrativa. Lo Stato Patrimoniale può essere definito come la fotografia della situazione del patrimonio di una società (cioè dei beni materiali o immateriali e del denaro liquido o investito) e consta di due voci: il passivo, ovvero “dove si prendono i soldi” (patrimonio proprio, debiti con le banche, varie forme di finanziamento) e l’attivo, ovvero “dove vengono impiegati i soldi” (acquisto di beni, di calciatori, denaro in cassa, crediti).
Il conto economico invece è il film di quello che è accaduto nel corso dell’esercizio. Al suo interno si trovano infatti le voci di ricavo (sponsor, diritti tv, biglietti e abbonamenti, ecc…) e di spesa (ingaggio calciatori, servizi, quota di ammortamento, ecc…). Tale conto, che riassume quindi i movimenti in entrata e in uscita di un’azienda, è composto dalle voci attenenti alla gestione ordinaria (che si riferisce all’attività principale dell’azienda: una libreria vende libri, un panettiere il pane, un club di calcio organizza e disputa partite) e da quelle della gestione straordinaria, ovvero quell’insieme di operazioni che non fanno parte dell’attività principale (ad esempio la vendita di immobili in possesso). Nel caso del calcio, ad esempio, la cessione di un giocatore. La Nota Integrativa serve a spiegare i criteri di redazione del bilancio e a illustrare e a motivare nel dettaglio i dati presentati.
Nello Stato Patrimoniale è obbligatorio indicare l’ammontare del capitale sociale, ovvero del denaro versato all’atto della costituzione societaria e che serve come risorsa a disposizione esclusiva dei soci per l’esercizio dell’attività economica. Se alla fine di un esercizio il conto economico fa registrare una perdita, questa deve essere ripianata attingendo appunto al capitale. Se la perdita è superiore a un terzo del capitale sociale è necessario procedere a una ricapitalizzazione, ovvero all’inserimento nel capitale di denaro fresco. Questo può provenire da riserve che la società ha accumulato oppure da finanziamenti da parte dei soci. Quando non è possibile ricapitalizzare immediatamente è possibile avvalersi di una fidejussione, ovvero di una sorta di “promessa di versamento”. La fidejussione (o fideiussione) è il contratto tramite il quale un soggetto terzo si obbliga verso un creditore a garantire l’adempimento del debitore. Per esempio, una persona deve dei soldi ad un’altra ma, essendo impossibilitata a versarli subito, si rivolge ad un terzo il quale garantisce che il pagamento avverrà. Colui che rilascia la fidejussione (normalmente banche, istituti di credito e compagnie assicurative) richiede, a sua volta, delle garanzie nei confronti di colui al quale la rilascia (per esempio beni personali quali immobili). Nel caso delle società di calcio, le fidejussioni possono essere utilizzate, in sede di iscrizione ai campionati, in luogo del versamento reale. Le fidejussioni però devono, prima o poi, essere “onorate”, ovvero saldate. Normalmente la Federcalcio accorda 3-6 mesi di tempo per adempiere anche se, come si vedrà, tale limite è stato più volte oltrepassato senza conseguenze.
Per comprendere appieno quanto verrà detto nel corso del capitolo, è importante a questo punto soffermarsi su tre importantissimi concetti: l’ammortamento, le immobilizzazioni immateriali e la plusvalenza. La parola ammortamento deriva dal latino mors (morte) e quindi il suo significato primario è quello di “estinzione”. E così è in realtà: si tratta infatti del processo attraverso il quale si ripartisce su un certo numero di esercizi un costo a utilità ripetuta (cioè che viene utilizzato per più anni). Non è corretto infatti iscrivere ad un solo esercizio di bilancio il costo di una cosa che verrà utilizzata per più anni. L’onere sopportato si ripartisce in parti uguali per quanti sono gli anni di vita utile di un bene. Nel caso dei calciatori, gli anni di contratto.
Ad esempio, se la società X compra Tizio per 10 milioni di euro accordandogli un contratto quinquennale, ogni anno per cinque anni X iscriverà a bilancio una “spesa” di 2 milioni. Se le parti, con il contratto ancora in corso, concordano il prolungamento dello stesso, la quota rimanente e non ancora ammortizzata deve essere ripartita secondo la durata del nuovo contratto. Al contrario dei costi, le entrate vengono contabilizzate in un'unica soluzione: se la società X vende Caio per 10 milioni, tale importo viene iscritto interamente nel bilancio dell’esercizio in cui viene effettuata la cessione.
I calciatori, dal punto di vista contabile, non sono trattati come “beni materiali” ma “immateriali”: una società infatti non acquista fisicamente un attaccante o un terzino ma ne acquisisce lo sfruttamento dei “diritti pluriennali alle prestazioni”. Queste vengono inserite nello stato patrimoniale, alla voce immobilizzazioni immateriali. “Immobilizzazione” perché si tratta di costi destinati a durare o di beni che non si possono trasformare in breve tempo in liquidi, “immateriali” perché appunto si tratta di “diritti alle prestazioni” e non di beni fisici.
Legato ai due concetti precedenti c’è quello di plusvalenza. Si dice plusvalenza una differenza positiva tra due valori economici riferiti ad uno stesso bene. Una plusvalenza si realizza quando viene venduto un bene ad un valore superiore a quello iscritto nell’attivo patrimoniale. Se si cede il bene ad un valore inferiore si ottiene invece una minusvalenza. Nel nostro esempio, Tizio, dopo un anno di utilizzo ha un valore di bilancio di 8 milioni (10 milioni dell’acquisto meno i 2 del primo anno di ammortamento). Se viene venduto per 15, si realizza una plusvalenza di 7. Viceversa, se viene ceduto per 5, si realizza una minusvalenza di 3 milioni. Le plusvalenze e le minusvalenze da cessione vengono iscritte alla voce “proventi e oneri straordinari”. Viste le premesse è facile comprendere come le plusvalenze possano essere manovrate al fine di ottenere vantaggi dal punto di vista economico. Non è un caso che in 5 anni, dal 1997 al 2002, le plusvalenze di cui hanno beneficiato le società di calcio siano aumentate del 740%, trasformandosi da semplice operazione economica a “marchingegno contabile per evitare la bancarotta”
I bilanci delle società di calcio, prima della presentazione finale, vengono affidati ad alcuni enti di certificazione e revisione (la Deloitte & Touche, la Grant Thornton, per esempio) i quali sono chiamati ad esprimere un parere di validità e di correttezza. Il tutto viene poi inviato alla [b[Covisoc[/b] (Commissione di Vigilanza sulle Società di Calcio), l’organo di controllo federale che ha il compito di verificare l’idoneità per l’iscrizione al campionato. I parametri che una società deve rispettare (che verranno analizzati più avanti) sono stabiliti dalla Figc attraverso le Norme Organizzative Interne Federali, comunemente conosciute con l’acronimo Noif. Nel 2003 è stata introdotta la Coavisoc (Commissione d’Appello di Vigilanza sulle Società di Calcio), una sorta di ente di secondo grado al quale le società che non hanno ottenuto l’assenso della Covisoc possono rivolgersi per i ricorsi. Tale organismo è stato però soppresso alla fine del 2006.
Dal punto di vista tributario, i club di calcio sono soggetti al pagamento dell’Ire (l’ex Irpef), la tassa relativa al reddito delle persone fisiche, e dell’Irap, l’imposta di reddito sulle attività produttive che si calcola in ragione del 4,25% sul fatturato ante imposta. A queste due tasse si aggiungono ovviamente l’Iva e i contributi previdenziali: l’Inail (Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) e l’Enpals (Ente Nazionale Previdenza e Assistenza per Lavoratori dello Spettacolo), l’equivalente dell’Inps per chi lavora nel settore dello spettacolo, categoria in cui sono compresi i calciatori.

IL MECCANISMO DELLE PLUSVALENZE FITTIZIE

Le plusvalenze nel calcio, così come in ogni altro ambito contabile, sono sempre esistite. Ma è solo in tempi recenti e grazie soprattutto all’ingegno di Sergio Cragnotti, che sono state elevate a “sistema”, al punto da diventare l’unica ancora di salvezza del calcio in crisi.
In questi ultimi anni le società di calcio hanno fatto registrare a bilancio consistenti aumenti nei ricavi (soprattutto grazie agli sponsor e ai diritti televisivi), sfortunatamente però tale incremento è stato accompagnato da una corrispondente lievitazione delle valore dei calciatori e degli ingaggi loro corrisposti. Se a queste voci di spesa si aggiungono i normali costi di gestione e le elevatissime quote di ammortamento si arriva ad una situazione in cui le perdite superano abbondantemente i ricavi stessi. E i conti in rosso determinano una sola conseguenza: il loro ripianamento, ovvero un versamento di denaro fresco che riporti il bilancio in parità.
Ovviamente non tutti i proprietari delle società di calcio si sentono, o sono in grado, di sborsare annualmente milioni di euro per coprire le perdite. In altri tempi, quando i passivi si limitavano a pochi miliardi di lire, molti benestanti presidenti (pensiamo agli anni ’80 con gli Agnelli, i Pontello, i Pellegrini) erano ben disposti a scucire qualche soldo per mantenere il loro giocattolo sportivo. Oggi, invece, i bilanci fanno segnare perdite mostruose e nessuno, anche il più ricco del pianeta, tratta a cuor leggero di cifre composte da sei numeri. Figuriamoci chi i soldi non li ha.
Come fare allora per sistemare i bilanci ed essere in regola con i parametri richiesti per l’iscrizione al campionato? Semplice, adottando il sistema delle plusvalenze.
La logica impone che se si desidera ottenere una plusvalenza redditizia è necessario cedere un calciatore importante, con un’elevata quotazione di mercato. Ma è altrettanto ovvio che se in rosa viene a mancare un pezzo pregiato, è necessario rimpiazzarlo con qualcun altro, a meno di non rassegnarsi a perdere in competitività. Un circolo vizioso, quindi.
Fino ai primi anni Novanta il calcio funzionava proprio così. Chi aveva i soldi (le grandi) li investiva in calciatori, chi non li aveva (le piccole) si arrangiava cercando di rivendere giovani talenti cresciuti in casa. Ma tutto è cambiato con l’aggiunta dell’aggettivo “fittizia” alla parola plusvalenza. Perché “fittizia”? Un esempio può venire in aiuto: la mia società di calcio sta per chiudere il bilancio con una perdita di 20 milioni di euro e io non ho nessuna intenzione di versare quei soldi (probabilmente non li ho nemmeno), né tantomeno intendo privarmi dei miei calciatori migliori. Ricorro così alla plusvalenza fittizia: prendo un giocatore della mia primavera (o un rincalzo che non rientra nei progetti futuri) e lo cedo ad un’altra società, non per il suo reale valore (supponiamo 1 milione) ma per un valore arbitrariamente “gonfiato” (poniamo 20 milioni). Per fare un paragone, sarebbe come vendere una pizza per 200 euro. In questo modo, il mio bilancio va a posto: quando un giocatore viene venduto, il guadagno derivante dalla sua cessione si iscrive, tutto ed una volta sola, nel bilancio in cui l’operazione è stata realizzata. Quindi, se vendo Tizio a 20 milioni, quei 20 milioni entrano direttamente nel mio bilancio, sistemandolo.
Ma c’è un problema: la squadra che ha comprato il mio calciatore deve affrontare un esborso di 20 milioni. E oltretutto per un calciatore sconosciuto. Come fa, quella squadra, a sistemarsi a sua volta? Semplice, la società in questione mi gira un suo calciatore, altrettanto anonimo, per la stessa cifra. Quindi, io ottengo 20 milioni e ripiano i miei conti, l’altra società ne ottiene sempre 20 ed è a posto con i suoi. Ecco realizzarsi una plusvalenza “fittizia incrociata”.
Ma a questo punto sorge spontanea una domanda: i 20 milioni di “rosso” iniziali vengono ripianati con la cessione “gonfiata” di un calciatore ma, se poi ne acquisto un altro per lo stesso valore, il mio bilancio torna in perdita? La risposta è “no”. E qui sta la chiave di volta sulla quale si regge tutto il sistema: al contrario dei guadagni, i costi sostenuti non incidono direttamente sull’esercizio in corso, ma vengono ammortizzati, ovvero ripartiti, in più esercizi. Il costo dei calciatori, nello specifico, viene ammortizzato per un periodo pari alla durata del contratto stipulato. Nel nostro esempio, se concedo cinque anni di contratto al nuovo acquisto, ogni anno per cinque anni, iscriverò 4 milioni di costo (20:5=4).
Quindi, se cedendo un mio calciatore realizzo 20, acquistandone un altro perdo solo 4, almeno in relazione alla stagione in corso. In questo modo, per chiudere il bilancio ed essere in regola devo sborsare di tasca mia solo quei 4 milioni. In alternativa posso cercare di ottenere una fidejussione che mi garantisca il pagamento futuro di quella somma (vedremo più avanti anche il sistema delle fidejussioni).
Il metodo delle plusvalenze “fittizie incrociate” è però un arma a doppio taglio. Se vi si ricorre una sola volta non crea problemi, se invece diventa un’abitudine i rischi sono moltissimi. Vediamo perché.
Supponiamo che ogni anno i miei bilanci siano in rosso e che non abbia fondi per ripianarlo (è il caso della quasi totalità delle società di calcio). Ricorro quindi al sistema che abbiamo appena visto e, di volta in volta, aggiusto i miei conti. Ma cosa succede con gli ammortamenti? Se ogni anno realizzo plusvalenze fittizie incrociate la conseguenza è che la quota ammortamenti cresce esponenzialmente. Facciamo un altro esempio: se il primo anno compro Tizio per 20 milioni, il secondo Caio per 30 e il terzo Sempronio per 40, accordando a tutti 5 anni di contratto, ho un piano ammortamenti così composto: il primo anno 4 milioni di Tizio, il secondo anno 4 milioni di Tizio più i 6 di Caio, il terzo anno i 4 milioni di Tizio, i 6 di Caio e gli 8 di Sempronio (quindi, in totale, 18 milioni di costi a bilancio) e così via fino all’esaurimento degli ammortamenti. Di questo passo, aggiungendo giocatori con quotazioni sballate, il costo degli ammortamenti cresce esponenzialmente rendendo sempre più difficile pareggiare i conti.
E’ questo il nocciolo della questione, l’incipit del crollo del sistema calcio. Le società calcistiche del nostro campionato (ad eccezione della Juventus e di poche altre) per ovviare alle perdite di bilancio, non hanno intrapreso un programma di contenimento dei costi, ma hanno fatto ricorso al sistema delle plusvalenze, gravandosi ogni anno di aggiuntive quote di ammortamento. Per citare un caso concreto, nel 2002 l’Inter nel ha realizzato 102 di milioni di plusvalenze (con quali giocatori lo vedremo dopo) ma ha iscritto a bilancio ammortamenti per 108 milioni. E questo di fronte a un ricavo d’esercizio di 125 milioni! Quindi, i ricavi di 125 milioni sono serviti appena per coprire la spropositata quota di ammortamenti generatasi nei pochi anni in cui si è fatto ricorso al sistema che abbiamo appena analizzato.
Come l’Inter anche molte altre società italiane si sono trovate con esposizioni debitorie enormi dovute all’uso scriteriato di questo meccanismo. Basti pensare che, nel 1998, le plusvalenze da cessione costituivano il 31% dei ricavi complessivi, per salire al 71% solo un anno più tardi. Una situazione che avrebbe portato al collasso completo del nostro calcio se non fosse intervenuto, nel 2003, il famigerato “Decreto Salvacalcio”. Scendiamo ora nel dettaglio, andando ad esaminare con quali e quanti giocatori è stato condotto il sistema delle plusvalenze fittizie incrociate. La prima che la storia del nostro calcio ricordi risale all’estate del 1998, protagonisti dello scambio Lazio e Milan: per 10 miliardi di lire i biancocelesti cedono lo sconosciuto Alessandro Iannuzzi ai rossoneri, i quali ricambiano con il carneade Federico Crovari. Cifre incredibili se si considera che “in quella stessa campagna trasferimenti il Milan realizzò plusvalenze di due soli miliardi dando al Venezia il portiere Massimo Taibi, di un miliardo vendendo, sempre al Venezia, il centravanti Filippo Maniero e di un altro miliardo per la cessione al Verona del centrocampista Christian Brocchi […] E la Lazio? Dette al Bologna il celeberrimo Beppe Signori con una plusvalenza di poco più di quattro miliardi!” (Liguori, Napolitano, Il Pallone nel burrone, Ed.Riuniti). Inutile dire che né Iannuzzi, né Crovari hanno mai trovato posto nella formazione titolare delle rispettive squadre.

VOLERSI BENE TRA CUGINI

Grandi protagoniste del “sistema” sono state Inter e Milan che, dimentiche delle loro rivalità, hanno dato il via ad un incredibile valzer di giocatori tra via Turati e via Durini:

Nomi piuttosto noti ai tifosi hanno tranquillamente cambiato casacca: Francesco Coco, Andrea Pirlo, Clarence Seedorf, Andrés Guglielminpietro, Dario Simic, Cyril Domoraud, Christian Brocchi. Tutti questi trasferimenti sono stati conditi da abbondanti plusvalenze per le due società meneghine. Ad esempio, la cessione di Coco, effettuata a 29 milioni di euro (in pratica poco più di 56 miliardi di vecchie lire), ha garantito al Milan una plusvalenza di 28,8 milioni. Contemporaneamente, la società rossonera ha acquisito Clarence Seedorf alla stessa cifra fittiziamente incassata per Coco, e cioè 29 milioni. Questo scambio, è bene ricordarlo, è avvenuto nell’estate del 2002, quando tutti gli operatori parlavano di mercato bloccato e di prezzi in discesa.[…] Ma se si può almeno far finta di credere a Galliani quando si riferisce alle mogli e alle fidanzate di questi giocatori di primo piano, dunque ricchi e famosi (gli autori si riferiscono ad un’incredibile frase di Galliani, interrogato riguardo a questo strano giro di calciatori tra nerazzurri e rossoneri: “Ci scambiamo i giocatori con l’Inter perché le loro mogli e fidanzate sono ormai abituate a vivere a Milano e non saprebbero più farne a meno”, nda) ciò diventa naturalmente impossibile quando si leggano i nomi di perfetti carneadi che hanno arricchito i bilanci di Milan e Inter, con le plusvalenze derivanti dalle loro cessioni. Si parla del portiere Paolo Ginestra, della punta Matteo Bogani, dei centrocampisti Davide Cordone e Mauro Bonura, dei difensori Andra Polizzano e Fabio Di Sauro. Uno scambio all’anno, tra Di Sauro e Cordone nel 1999-2000, tra Polizzano e Bonura nel 2000-2001 e tra Bogani e Ginestra nel 2001-2002, ha fruttato ogni volta una plusvalenza reciproca variabile tra i sette e i dieci miliardi di vecchie lire. Asserire che i prezzi fossero quelli di mercato farebbe vincere il primo premio al Salone dell’umorismo di Bordighera, e giustificare gli scambi con motivazioni tecniche o tattiche farebbe vincere ancora il primo premio, ma stavolta ex aequo (ibidem)

Altro caso famoso è quello del difensore danese Thomas Helveg che i rossoneri acquistarono dall’Udinese nell’estate del 1998. Helveg fu ceduto all’Inter nel 2001 per 6,2 milioni di euro ma non varcò mai la soglia di Appiano Gentile. Il danese infatti fu ri-prestato ai rossoneri per mille euro a stagione fino al 2003, anno in cui passò finalmente all’Inter. La stessa Inter, che dal 1997/98 al 2004/05 ha ottenuto ben 400 milioni di euro in plusvalenze, è riuscita a cedere, nel 2001, Macellari al Bologna per 12 milioni di euro!
Questi vorticosi scambi sull’asse rossonerazzurro non si sono arrestati nemmeno dopo le promesse di morigeratezza (riduzione degli stipendi, pagamento regolare delle tasse, rinuncia al sistema delle plusvalenze) dei presidenti in cambio dell’ottenimento della Legge Salvacalcio. Nell’estate del 2003, a soli quattro mesi dalla sua introduzione, Milan e Inter sono infatti tornati a praticare il loro sport preferito, dopo il calcio:

Il 24 giugno, ovvero a sei giorni dalla chiusura dell’esercizio, nella conferenza stampa seguita a una delle tante assemblee dei presidenti delle società di A e B, richiesto di un commento sulla questione delle plusvalenze incrociate e fittizie, riguardanti soprattutto Milan e Inter, [Galliani] rispose serafico: “La Lega non può sindacare l’operato dei singoli, perché vi sono società per azioni”. E aggiunse laconico: “Se Milan e Inter vogliono scambiarsi i giocatori, non posso farci niente”. Peccato! C’è dunque da ritenere che il numero uno della Lega, Adriano Galliani, non abbia nemmeno fatto una semplice tiratina di orecchie all’amministratore delegato del Milan, Adriano Galliani. O magari ci ha provato, ma la linea telefonica era sempre occupata! Quei sei giorni che mancavano alla chiusura dell’esercizio furono così utilizzati da Milan e Inter per un megascambio di quartetti: i rossoneri hanno ceduto ai nerazzurri Simone Brunelli, Matteo Deinite, Matteo Giordano e Ronny Toma. In cambio, i nerazzurri hanno dato ai rossoneri Salvatore Ferraro, Alessandro Livi, Giuseppe Ticli e Marco Varaldi. Prezzo complessivo pattuito: 13,95 milioni di euro. Plusvalenza per il Milan: 11,961 milioni. Plusvalenza per l’Inter: 13,941 milioni. (ibidem)

La Beneamata ha avuto modo di distinguersi anche per un altro paio di episodi storici. Il primo riguarda la Gianmarco Frezza, centrocampista nato a Roma nel 1975, acquista dalla Fidelis Andria nel 1998 per un miliardo e duecento milioni. Dopo una serie di prestiti, viene ceduto alla Roma per l’esorbitante cifra di 8 miliardi e 800 milioni, la quale ricambia consegnando ai nerazzurri Alessandro Frau per 8 miliardi e 500 milioni di lire. I giallorossi prestano Frezza al Palermo e un anno dopo lo vendono al Torino per 15 miliardi di lire, intascando un’altra plusvalenza.
Il secondo caso è un capolavoro della dirigenza interista e si riferisce alla cessione di Hernan Crespo al Chelsea: l’attaccante argentino, acquistato nel 2002 dal Parma per 38 milioni di euro, viene ceduto agli inglesi l’anno successivo per “soli” 24 milioni. Apparentemente una minusvalenza (il calciatore, dopo un anno di ammortamento, “valeva” 28,5) se non fosse che, due mesi prima della cessione, l’Inter è riuscita a svalutare il calciatore di 20 milioni grazie alla Legge Salvacalcio. In questo modo ha ottenuto una bella plusvalenza di 15,5 milioni! Stesso discorso con Cannavaro, che passa alla Juve nel 2004. Dapprima svalutato a circa 400mila euro, poi venduto a 10!
Altre perle con l’indirizzo di via Durini sono la doppia cessione nello stesso anno di Matteo Ferrari (nel 2001/02 fu dapprima venduto al Parma con plusvalenza di 8,5 milioni euro, riacquistato in comproprietà dall’Inter, infine rivenduto ancora al Parma con un’altra plusvalenza di 1,5 milioni) e la doppia comproprietà di Mohamed Kallon: nella stagione 1999/2000 la prima comproprietà con la Reggina frutta una plusvalenza di 1,4 milioni di euro, la seconda con il Vicenza 11,5.
Per quanto riguarda il Milan, invece, altri proficui affari vanno in porto nel 2003 grazie alla collaborazione del Parma: il Milan cede Marco Donadel, Davide Favaro e Mirco Stefani in cambio di Luca Ferretti, Roberto Massaro e Filippo Porcari, per complessivi ricavi di 7,892 milioni. Non è un caso che, nel bilancio chiuso il 30 giugno 2003, il Milan abbia iscritto ben 28 milioni e 900 mila euro di plusvalenze fittizie

INSOSPETTABILI INTESE

Altra società “forte” del sistema è stata la Roma che, in quanto a plusvalenze, non si è fatta proprio mancare niente:

Nell’estate 2001 stabilì un canale privilegiato con il Parma che dette origine a un flusso consistente da e verso la città ducale; dalla capitale partirono i difensori Sergej Gurenko e Amedeo Mangone con l’attaccante Paolo Poggi; da Parma scesero a Roma il difensore Saliou Lassissi e i centrocampisti Raffaele Longo e Diego Fuser. La plusvalenza dei giallorossi sfiorò i cinquanta miliardi di vecchie lire, e al Parma andò persino meglio: la società guidata dalla famiglia Tanzi incamerò una plusvalenza di poco superiore ai cinquantuno miliardi.

Ma è solo l’inizio. L’anno successivo i sofferenti bilanci giallorossi registrano un inaspettato attivo di 790.000 euro, ma solo grazie all’enorme cifra di 95,3 milioni, garantita dalle plusvalenze per la cessione di ben 20 calciatori delle giovanili: Marco Amelia, Cesare Bovo, Franco Brienza, Simone Casavola, Daniele Cennicola, Daniele De Vezze, Giuseppe Di Masi, Simone Farina, Alberto Fontana, Gianmarco Frezza, Armando Guastella, Daniele Martinetti, Giordano Meloni, Matteo Napoli, Simone Paoletti, Manuel Parla, Marco Quadrini, Cristian Ranalli, Fabio Tinazzi, Alfredo Vitolo.

E quali società, in piena crisi di liquidità del sistema, sono riuscite a contribuire con i loro acquisti alla maxi-plusvalenza romanista? Giganti come il Manchester United o il Real Madrid o il Barcellona?[…] Macchè: gli acquirenti hanno il nome di Ancona, Cagliari, Cittadella, Cesena, Cosenza, Lecce, Livorno, Messina, Napoli, Palermo, Piacenza, Reggiana, Salernitana e Torino. Un ruolo di benefattori che non si addice loro. Infatti contemporaneamente alle vendite realizzate, la Roma si impegnò con le stesse società all’acquisto di altrettanti sconosciuti agli stessi prezzi appena incassati. (ibidem)

La Roma si è distinta anche per Musacco 2,5 milioni di euro, e Panarelli, 10 milioni di euro. Senza dimenticare l’attaccante Quadrini venduto al Napoli per 3,7 milioni di euro dietro corrispondente cifra per il passaggio in giallorosso dello sconosciuto Malafronte.
Curioso come dietro gli affari di Milan, Inter e Roma ci sia quasi sempre stato il Parma dei Tanzi, quel Parma indicato come modello da seguire e salutato come unica “isola felice” del calcio italiano. Non stupisce quindi scoprire che gli emiliani hanno fatto volentieri affari anche con la Lazio. Dal 1998 al 2003 biancazzurri e gialloblù hanno “mosso” oltre 200 milioni di euro, in maggior parte costituiti dai 70 milioni incassati nel 1999 dal Parma per il passaggio dell’argentino Veron alla corte di Cragnotti. La storia si ripete l’anno successivo con la cessione ai biancazzurri di Crespo per 110 miliardi, dietro le contropartite di Almeyda (45 miliardi) e Sergio Conceiçao (35 miliardi). Ce n’è per tutti, insomma.

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juve

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