Vi propongo questo articolo trovato per il Web.
In Italia dopo un’emergenza ne viene un’altra, a breve distanza. Adesso che gli ultras li hanno sopravanzati, i rom potranno starsene tranquilli fino al prossimo evento “inaudito”. La magistratura ha addirittura accusato di terrorismo i tifosi protagonisti degli incidenti di domenica scorsa, dopo che, per anni, aveva giudicato quanto accadeva dentro e in prossimità dello stadio con lassismo. Qualche opinionista ha paventato una minaccia allo Stato provocata da una saldatura tra ultras, estremisti di destra e no global, con l’aggiunta dell’antipolitica di Beppe Grillo. Saranno gli “Irriducibili” laziali e non il Partito democratico la vera novità politica?
Il Paese delle emergenze non conosce le vie di mezzo, ma affronta i problemi innescando una logorrea oceanica che trova sfogo in dibattiti in cui si urla che si è arrivati al capolinea. Al sopravvenire del nuovo allarme, si cambia argomento lasciando ovviamente tutto inalterato. Bisognava amare l’umorismo involontario e grottesco – e anche avere lo stomaco forte- per assistere, in questi giorni, alle trasmissioni delle televisioni sportive locali, ma se ne ricavava un’immagine interessante del Paese. Anche i canali maggiori e i giornali non si sono sottratti all’orgia di retorica e l’onorevole La Russa poteva così rimbalzare da una TV nazionale a una locale per comunicare la sua imprescindibile opinione. Il nocciolo delle discussioni era, come al solito, se i fatti avvenuti – la morte del tifoso e i conseguenti disordini- avessero o no a che fare con il calcio.
Prendendo sul serio il quesito, la risposta giusta è sì e no. Che una percentuale di giovani maschi si senta attratta dalle dinamiche di gruppi ribellistici di qualsivoglia segno e cerchi l’ebbrezza dello scontro fisico è un dato fisiologico ovunque. Dopo un ennesima devastazione provocata all’estero dai tifosi inglesi, mentre si susseguivano le condanne di rito, un deputato conservatore osservò che non era il caso di esagerare perché gli hooligan erano il genere di ragazzi, di modi spicci, che avevano donato alla Patria l’impero…
Se un certo grado di “esuberanza” giovanile è incancellabile, resta che il calcio è un contenitore e moltiplicatore di quelle tensioni, capace di farle degenerare oltre il tollerabile. Non a caso, insieme alla politica, solo il calcio ha coinvolto una massa ragguardevole di giovani in atti di violenza. Il calcio professionistico, infatti, non è uno sport o, meglio, è anche uno sport per chi ne sa apprezzare il lato tecnico, ma è pure la metafora di altro e perciò riscuote una così vasto seguito. Da decenni, diversi antropologi sostengono che si tratta di una simulazione rituale della guerra. Il problema è se svanisce la metafora e i fedeli-spettatori fanno la guerra per davvero, sia pure di piccole proporzioni. Allora significa che qualcosa non va e nel calcio in generale, e in quello italiano in particolare, sono molte le cose che non funzionano.
Il rito è stato oltraggiato dalla prevalenza degli interessi economici, soprattutto quelli derivanti dai diritti televisivi, a tutto danno dei tifosi da stadio, considerati una parte marginale del business e trattati di conseguenza, mentre gli ultras perdevano l’occasione di contrastare questo fenomeno, cimentandosi in scaramucce reciproche. Come per molti altri aspetti della storia italiana, si è preteso di voltare pagina –salvando il calcio pulito come dicono i professionisti del commento retorico- con un processo farsa contro il “cattivo” Moggi, presunto responsabile di tutti i mali del pallone. Si è dato a credere che un furbo ex ferroviere imponesse la sua legge a Telecom, Capitalia, Fininvest e la stessa Fiat, tutte aziende con forti interessi nel calcio. Adesso, i veri manovratori sono ancora tutti lì, con la loro incapacità e i loro interessi illeciti: gli stessi che ci tocca subire anche nella vita pubblica di questo strano Paese.
Chapeau
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